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lunedì 26 ottobre 2015

Immagini satellitari come #OpenData

Continuiamo a parlare del presente e del futuro dell'osservazione della Terra, dando un'occhiata in questa "terza puntata" a come la politica europea sul libero accesso ai dati satellitari delle missioni Sentinel stia cambiando le regole del gioco.
Nella puntata precedente infatti abbiamo parlato di satelliti commerciali, ovvero che acquisiscono immagini che poi vengono vendute sul mercato direttamente dagli operatori satellitari o da loro partner. Se fino a qualche anno fa l'unico modo di utilizzare immagini satellitari era acquistarne una licenza d'uso, da un po' di tempo a questa parte qualcosa sta cambiando.

Landsat 9 - Credits: www.nasa.gov
Un paio d'anni fa, quando ancora in Commissione Europea si discuteva delle strategie di licensing per i dati acquisiti dalle missioni satellitari del programma Copernicus, su questo blog avevo spiegato perché le data policy orientate alla liberazione dei dati sono più sensate e vantaggiose nel medio-lungo periodo. In quell'articolo parlavo delle scelte dell'USGS americano circa i dati delle prime 8 missioni Landsat, che ancora oggi sono accessibili gratuitamente, ed altrettanto accadrà con i dati della missione Landsat 9 che sarà lanciata fra 8 anni.

Poi sono partite le prime missioni Sentinel, con un approccio molto più integrato rispetto al programma Landsat, perché la strategia europea, anziché ad un solo satellite, è estesa ad un piano pluriennale e ambizioso che prevede il lancio di svariati satelliti di diverso tipo. Satelliti che acquisiscono o acquisiranno dati accessibili ed usabili liberamente, insomma dei veri e propri Open Data satellitari.
Tutto questo accade nell'ambito del programma Copernicus, che molti conoscono con il vecchio nome GMES, e che vuole rispondere alla domanda di servizi di osservazione della Terra in Europa. Per questo il programma mette a disposizione degli Stati europei i cosiddetti Core Services, per il monitoraggio del suolo, dei mari, dell'atmosfera, dei cambiamenti climatici, e per la gestione delle emergenze e della sicurezza. Questi servizi mettono a disposizione dei cittadini europei dati (satellitari ma non solo) o altri servizi: ad esempio, per il monitoraggio del suolo, l'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) si occupa di produrre o aggiornare mappe tematiche ad alta risoluzione di tutta l'Europa relative alle superfici artificiali, alle aree forestate ecc., che tutte insieme permettono di tenere sotto controllo la copertura del suolo (con le mappe Corine Land Cover).

Anche gli output dei Core Services sono generalmente disponibili come Open Data, e questa è la grossa opportunità ma anche la sfida di Copernicus per l'Europa: sfruttare i prodotti a valore aggiunto ed i dati satellitari open per sviluppare una capacità molto più grande di quella attuale nella realizzazione di servizi ed applicazioni, che siano realmente utili, economicamente sostenibili, ed orientati a soddisfare una reale domanda degli utenti.
Sono i cosiddetti servizi downstream, tra cui rientrano anche le applicazioni commerciali che costruiscano Valore Aggiunto su dati telerilevati da satellite - commerciali o Open. I servizi downstream seri in realtà sanno sfruttare non solo i dati satellitari, ma anche le informazioni e gli altri dati resi disponibili dai servizi essenziali che vengono offerti dall'Unione Europea, i già citati Core Services di Copernicus.
Il potenziale in termini di mercato è straordinario, e ne parlavo qui.



Sentinelle spaziali

Torniamo a parlare delle immagini satellitari disponibili in maniera free e open. L'anno scorso è stato lanciato Sentinel-1a, la prima delle "sentinelle", che monta un sensore RADAR ad apertura sintetica in banda C. Non ha la risoluzione spaziale né temporale di Cosmo-SkyMED, di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, perché la risoluzione spaziale arriva al massimo a 5 metri ed il tempo di rivisita sull'Europa è di circa 6 giorni (si ridurrà a 3 giorni quando sarà in orbita il satellite gemello Sentinel-1b), ma grazie alla possibilità di acquisire dati in qualsiasi condizione di illuminazione e di copertura nuvolosa, è estremamente utile per il monitoraggio della terraferma e dei mari.  

Le caratteristiche che abbiamo già visto per le acquisizioni satellitari con sistemi RADAR sono quelle che hanno consentito a Sentinel-1 di "immortalare" per esempio questo avvenimento che ha avuto grosso risalto nelle cronache di quest'estate: il relitto della Costa Concordia, rimorchiato verso il porto di Genova.
Da qualche settimana ci stiamo divertendo a raccontare come riusciamo a sfruttare questi dati per monitorare potenziali fenomeni di dissesto idrogeologico e prevenire i movimenti franosi.

Dallo scorso 23 giugno è in orbita anche Sentinel 2a, il primo di due satelliti multispettrali pensati per monitorare lo stato di salute del pianeta, con particolare attenzione alla vegetazione terrestre: foreste, piantagioni, zone agricole ecc.
Anche la missione Sentinel 2 prevede il lancio di due satelliti, destinati a rincorrersi per tutta la loro vita volando agli antipodi uno dell'altro.   


I sensori di Sentinel 2 sono di tipo ottico e garantiscono immagini in 13 bande multispettrali, con risoluzione da 10 metri fino a 60 metri. E' interessante notare che lo swath (l'ampiezza di ripresa) di Sentinel 1 è di ben 290 km: una volta e mezza quella del Landsat, come si vede nell'immagine accanto, che è la prima acquisita sull'Italia, appena quattro giorni dopo la messa in orbita. Si riconosce la Liguria e parte della Costa Azzurra. Grazie a questa grossa capacità di ripresa, quando sarà operativo anche Sentinel-2a il tempo di rivisita sull'Europa sarà di soli 3 giorni.
Le 13 bande multispettrali di questo satellite coprono un'ampia porzione dello spettro elettromagnetico, dal visibile all'infrarosso vicino, fino all'infrarosso ad onde corte, e forniranno informazioni importantissime sullo stato della vegetazione, come si intuisce dall'immagine a fianco, che raffigura in falsi colori un tratto della valle del fiume Po. Inutile dire che sarà straordinario il contributo dei satelliti Sentinel 2 alla prossima generazione di prodotti geografici che si potranno realizzare, tra mappe di copertura del suolo, delle foreste, delle aree artificiali e via dicendo. Ancora più importante saranno i prodotti che daranno evidenza dei cambiamenti in corso, per analizzare l'andamento di certi fenomeni o controllare l'effetto sul territorio delle politiche degli Stati nel tempo.

Entro la fine dell'anno sarà lanciato anche Sentinel 3a, un altro giocattolone spaziale che fornirà informazioni sui nostri mari e sugli oceani, dalla temperatura alla qualità delle acque marine, e tante altre informazioni utili per la sicurezza, il monitoraggio ambientale e lo studio del clima. Nei prossimi anni, poi, partiranno uno alla volta tutti i satelliti fino a Sentinel 6.
Ai dati Sentinel è possibile accedere già da tempo, previa registrazione, tramite il portale dell'Agenzia Spaziale Europea Sentinel Online.


Non solo Copernicus

Abbiamo visto quindi che la politica di distribuzione dei dati free open di Copernicus è pensata per favorire la piena adozione delle tecnologie di osservazione della Terra da parte dell'Europa, al fine di ottenere benefici di tipo ambientale - ma anche economico: da tempo si parla di un mercato da 30 miliardi di Euro e di decine di migliaia di nuovi posti di lavoro entro il 2030 (anche di questo ho già scritto qui). Queste scelte sono coerenti con le politiche che l'Europa persegue rispetto alla libertà d'accesso alle informazioni pubbliche, come previsto per esempio dalla Direttiva PSI.  


Se queste scelte virtuose sulla liberazione dei dati satellitari sono ragionevoli e benvenute quando fatte da un'entità pubblica, fanno rumore invece quando prese da realtà commerciali che sulla vendita dei dati dovrebbero basare tutta la loro strategia di ritorno sugli investimenti. Anch'io sono saltato sulla sedia quando Will Marshall, CEO di Planet Labs, ha annunciato a fine settembre che avrebbe liberato l'accesso ad una parte dei dati ad alta risoluzione acquisiti dalla sua costellazione di microsatelliti.






Marshall aveva fatto l'annuncio all'assemblea delle Nazioni Unite, parlando del contributo che questi dati avrebbero dato agli obiettivi dell'ONU per lo sviluppo sostenibile. Avevo pensato quindi che i dati satellitari che Planet Labs avrebbe rilasciato con licenze open sarebbero stati quelli acquisiti sulle aree più povere dell'Africa o dell'India; e mi sembrava già una bella cosa. E invece ecco che quei mattacchioni la settimana scorsa mi sorprendono ancora, perché aprono l'accesso alla loro piattaforma (ancora in beta) con le immagini satellitari della California! Con licenza CC BY SA 4.0, "condividi allo stesso modo" che si applica quindi anche ai prodotti a valore aggiunto generati con questi dati. In altre parole Marshall dice: io ti faccio usare i miei dati liberamente, ma qualsiasi cosa tu ci faccia, devi renderla pubblica allo stesso modo. 


Non so per quanto tempo questi dati sulla California resteranno accessibili in modalità open, ma questo è di certo un ottimo modo di promuovere e far conoscere le potenzialità della costellazione e delle immagini ad altissima risoluzione di Planet Labs. Di questi microsatelliti, che rappresentano davvero una grossa novità nel settore aerospaziale, parlerò ampiamente nella prossima ed ultima puntata di questa serie di articoli sul presente e futuro dell'osservazione della Terra.


Quando si parla di Open Data, e ci si riferisce alle informazioni che il settore pubblico dovrebbe rendere accessibili per assicurare trasparenza e creare opportunità di business, ci si scontra spesso con gli annosi problemi della mancata armonizzazione e integrazione delle banche dati. Invece, come dice il mio amico Vincenzo Patruno, "servono open data ad alta potenzialità su cui generare servizi orientati alla conoscenza".
Ecco: queste immagini satellitari open di cui abbiamo parlato oggi possiedono proprio queste caratteristiche. Sono dati disponibili in formati standard, pur nella loro varietà, e aggiornati frequentemente, di altissima qualità e diffusi da enti affidabili. Il meglio che ci può essere per costruirci sopra un business duraturo.

Le immagini satellitari da sole, però, non bastano.
Come è scaturito da un'indagine di Eurisy [1] di un paio di anni fa, se da un lato è ovvio che la gratuità dei dati satellitari aiuta a superare quegli ostacoli finanziari che fino a ieri impedivano certamente l'adozione delle tecnologie satellitari di osservazione della Terra, non bisogna trascurare l'impreparazione dell'utenza ad interpretare i dati grezzi. Parliamo di un'utenza professionale nel settore ambientale, dell'urbanistica, dell'ingegneria e del governo del territorio in senso lato, ovvero quella parte della domanda, pubblica e privata, che per prima potrebbe trarre beneficio dalla conoscenza ottenibile con l'osservazione della Terra; e che però non dispone delle competenze tecniche per processare ed interpretare i dati grezzi, integrarli con altre fonti informative, e produrre risultati - mappe, nei casi più ovvi, pronte da essere utilizzate nei sistemi informativi geografici.

Se la guardiamo così, la spinta all'utilizzo del dato satellitare corre il rischio di ridursi ad un mero push tecnologico, che non riuscirà facilmente a suscitare l'interesse di questa tipologia di utenza.
Non è quello che sta accadendo con i droni? Bei giocattoli che tutti vogliono imparare a pilotare, tanta curiosità, ma quant'è arduo poi trattare realmente i dati acquisiti per generare informazioni usabili.
Allo stesso modo, nonostante quest'ampia e crescente disponibilità di satelliti e dati, i servizi di osservazione della Terra restano ancora confinati nel dominio specialistico dei ricercatori e dei professionisti dei sistemi informativi geografici, che sono inevitabilmente più inclini ad inseguire i continui miglioramenti delle tecnologie satellitari (qualità dei sensori, aumento delle risoluzioni ecc).
Di conseguenza gli utenti finali (le categorie professionali che ho elencato prima) non riuscendo ad ottenere benefici tangibili dall'osservazione della Terra, sono portati a valutare la tecnologia satellitare come un semplice succedaneo del rilievo aereo. Ed ecco spiegata la fatidica domanda: "cosa mi offrono le immagini satellitari in più rispetto ad un volo aereo o a un rilievo col drone?!".

Oggi invece il vero User Uptake, cioè l'adozione dei servizi dello Spazio da parte di quelle categorie professionali, si può realizzare assicurando loro l'accesso a servizi che garantiscano non più mere informazioni, ma una reale conoscenza dei fenomeni. Non bastano quindi più le mappe tradizionali: l'utenza chiede scenari geospaziali ricchi di metriche ed indicatori, mappe dinamiche che diano evidenza dell'andamento di fenomeni, che aiutino a capire e prendere decisioni.

Questi servizi, accessibili via Web perché per loro natura sposano il paradigma del cloud e del software as a service, diventano 'black box' per l'utente, che si disinteressa di come l'informazione viene generata, se ciò che ottiene è accurato ed affidabile per i suoi scopi. Dietro la generazione dinamica e ripetitiva di indicatori per il monitoraggio della VAS ci saranno magari catene sconfinate di processamento dei dati, algoritmi complessi ed integrazione delle immagini satellitari con altre fonti di dati; ma l'utenza oggi vuole un'informazione snella e semplice, possibilmente a portata di smartphone.

Per la generazione di questi scenari l'utente non svolge un ruolo passivo: è indispensabile il suo coinvolgimento nel processo di costruzione della conoscenza. Per esempio può essere coinvolto nella fase di classificazione dell'immagine per addestrare il modello a riconoscere le features più utili, oppure in fase di validazione dei risultati: la consapevolezza dei luoghi e l'esperienza sul campo sono risorse (quasi) sempre disponibili a livello locale, e quando opportunamente riconosciute e sfruttate, possono aiutare a migliorare la qualità dei prodotti e servizi, in particolare quelli che assicurano un monitoraggio dei cambiamenti robusto, ripetibile e standardizzato.

In questi casi, come dicevo nel post precedente, anche una risoluzione del dato satellitare leggermente più bassa, se però è garantito un monitoraggio costante sulle aree di interesse, non costituisce un reale ostacolo alla realizzazione di servizi operativi e utili per gli utenti finali: purché questi servizi offrano un accesso rapido e continuo alla conoscenza dei fenomeni, garantendo il risparmio di tempo e di soldi.
Solo così otterremo la reale adozione delle tecnologie spaziali da parte dell'utenza.

Appuntamento alla prossima e ultima puntata, per guardare al futuro dell'osservazione della Terra.

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Questo post è il terzo di una serie dedicata all'osservazione della Terra:
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[1] avevo salvato tempo fa un link ai risultati dell'indagine che adesso non sembra funzionare più: http://www.eurisy.org/index.php/news/item/242-satellite-data-is-not-enough-end-users-need-friendly-maps-and-services-tailored-to-their-needs.html